La carenza di autisti professionisti non è un problema isolato della Spagna, ma una crisi strutturale che colpisce l’intera Unione Europea e minaccia la resilienza delle catene di approvvigionamento. Si stima che il deficit nel blocco comunitario sia di circa 500.000 autisti, una cifra che mette in scacco la fluidità del mercato unico e che è aggravata dall’invecchiamento della forza lavoro, dove una parte significativa supera i 55 anni. Questa carenza ha un volto in molte capitali europee e obbliga governi e industria a cercare soluzioni urgenti e spesso innovative.
Prendendo esempi concreti, la Germania, potenza economica continentale, ha un deficit stimato tra i 60.000 e gli 80.000 autisti. Le misure lì passano per intensificare la formazione accelerata (Beschleunigte Grundqualifikation), promuovere attivamente il reclutamento internazionale (specialmente da fuori UE) e digitalizzare le procedure amministrative per rendere il mestiere più attraente. In Polonia, pilastro del trasporto su strada in Europa, la mancanza è pure accentuata, in parte per l’uscita di molti autisti verso aziende dell’Europa occidentale che offrono salari migliori. Le azioni polacche si concentrano sul miglioramento delle condizioni lavorative e sul tentativo di repatriare talenti. La Francia, da parte sua, combina sussidi per il conseguimento della patente di guida (C/C+E) con campagne per rivalorizzare socialmente la professione e facilitare l’accesso alle zone di sosta.
Le conseguenze di questo deficit massiccio sono tangibili: aumenti dei costi di trasporto, ritardi nelle consegne e una pressione insostenibile sugli autisti attivi, il che può compromettere la sicurezza stradale. Gli esperti in materia sottolineano la multidimensionalità del problema. Organizzazioni come l’IRU (Unione Internazionale dei Trasporti Stradali) insistono sul fatto che serve una combinazione di attrattiva salariale, migliori condizioni di lavoro (specialmente per quanto riguarda la disponibilità di parcheggi sicuri e aree di sosta) e una semplificazione amministrativa a livello europeo.
Dalla prospettiva sindacale, la Federazione Europea dei Lavoratori dei Trasporti (ETF) sostiene che la radice del problema non è solo la mancanza di persone, ma la durezza delle condizioni di lavoro che allontana i giovani. Giornate lavorativissime, settimane lontani da casa e la percezione di un mestiere poco valorizzato socialmente sono barriere più potenti del salario stesso. Si battono per far rispettare rigorosamente la normativa sui tempi di guida e riposo, e per garantire che gli autisti possano tornare regolarmente alle proprie case.
In conclusione, la crisi degli autisti è un sintomo di un modello logistico che ha privilegiato l’efficienza a breve termine sulla sostenibilità umana del settore. Le misure nazionali, sebbene necessarie, sono cerotti se non accompagnate da una strategia europea coordinata che affronti in modo integrale l’immagine, le condizioni e la formazione nel settore. Senza un’azione decisa che trasformi la professione, il deficit di 500.000 autisti non solo persisterà, ma si approfondirà, facendo sì che gli scaffali vuoti o i ritardi nelle spedizioni cessino di essere un’anomalia per diventare una cronaca annunciata. Il futuro del trasporto su strada in Europa dipende dalla sua capacità di reinventarsi come un settore attraente, dignitoso e moderno.
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