Gli ultimi studi condotti in Spagna dipingono un quadro desolante per la rete stradale del paese. Secondo il rapporto più recente dell’Associazione Spagnola della Strada (AEC), presentato nel luglio 2025 e basato su dati raccolti nel 2024, oltre la metà (il 52%) della rete stradale interurbana presenta deterioramenti gravi o molto gravi del manto stradale. Questa diagnosi, ottenuta per la prima volta mediante intelligenza artificiale (sistema ASIMOB), segnala che ci troviamo di fronte alla peggiore situazione dalla fine degli anni ottanta, con un regresso paragonabile a quello del 1985.
L’entità del deterioramento è schiacciante ed è peggiorata in modo esponenziale. Un totale di 33.966 chilometri necessita di una ricostruzione urgente in un termine inferiore a un anno, una cifra che quasi triplica i 13.000 km registrati nel rapporto del 2022. A questi si sommano altri 20.407 km con danni gravi che richiedono intervento in meno di quattro anni. In totale, oltre 54.000 km di asfalto presentano problemi significativi, da buche e crepe fino al caratteristico “crettatura a pelle di coccodrillo”. La causa principale è un cronico e insufficiente investimento nella conservazione e manutenzione. Secondo l’AEC, mentre sarebbe necessario investire annualmente circa il 2% del valore patrimoniale della rete (circa 5.200 milioni di euro), l’investimento reale si aggira appena sui 2.000 milioni, il che genera un deficit di conservazione che si accumula e aggrava il problema a un ritmo dell’8% annuo.
La situazione non è omogenea sul territorio. Le strade dell’Aragona si trovano nello stato più critico, con il 68% della rete con deterioramenti gravi, molto al di sopra della media nazionale (52%). Seguono comunità come Castiglia-La Mancia e Galizia (59%), e La Rioja, che guida per necessità “molto urgenti” (41%). All’estremo opposto, la Comunità Valenziana presenta il dato migliore, con il 32% della rete interessata. La responsabilità della riparazione ricade sui diversi titolari della strada: lo Stato (attraverso la Direzione Generale delle Strade), le comunità autonome e le deputazioni forali. Lo studio analizza specificamente i più di 101.700 km gestiti da queste amministrazioni, escludendo autostrade a pedaggio e strade locali minori.
Il costo di mettere a posto questo patrimonio stradale è astronomico e non ammette ulteriori ritardi. Il deficit di investimento accumulato ammonta a 13.491 milioni di euro, il 43% in più rispetto al 2022. Di questa cifra, 4.721 milioni corrispondono alla Rete di Strade dello Stato e 8.770 milioni alle reti autonomiche e forali. Questo incremento è dovuto, in parti quasi uguali, all’aumento dei costi (materiali, energia, personale) e al peggioramento accelerato dell’infrastruttura stessa. L’AEC reclama con urgenza un fondo di finanziamento solido che combini bilanci pubblici, fondi europei e possibili sistemi di tariffazione, oltre a proporre di rivedere le esenzioni fiscali in altre modalità di trasporto per destinare quelle risorse alla strada.
In sintesi, ci confrontiamo con una crisi infrastrutturale che trascende il mero aspetto circolatorio. Il cattivo stato del manto stradale compromette la sicurezza stradale, obbligando i conducenti a una guida più tesa ed erratica; frena l’efficienza economica, aumentando tempi e costi del trasporto merci; e ostacola la coesione territoriale e la transizione verso una mobilità più avanzata. Collocare cartelli di “manto stradale in cattivo stato” è una pezza che non inverte il deterioramento sistemico. Si richiede un’azione decisa, con un finanziamento sostenibile e priorità politica, per evitare che il principale sistema di comunicazione della penisola continui a disintegrarsi.
Questa analisi, tuttavia, affronta solo una faccia della medaglia. L’impatto economico diretto che questo deterioramento ha sui trasportatori professionali, autentica colonna vertebrale del commercio, merita un capitolo a parte per la sua gravità e le sue conseguenze sui prezzi finali. Di ciò parleremo in un prossimo commento.
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